Riflessioni a margine
a cura della Dott.ssa Elisa Bertoja
Assistente sociale e Criminologa sociale
Quando il virtuale fa male: cyberbullismo, giovani e adultità
Controllo del vicinato vuol dire prima di tutto consapevolezza. Consapevolezza della miriade di opportunità che ci circondano, ma anche dei pericoli.
Un’attenzione particolare la meritano bambini ed adolescenti, che in questa era digitale popolano e vivono la rete come un’estensione del quotidiano, una seconda casa. In una società come quella attuale, dove regnano una forte esposizione ai media ed un altrettanto forte spinta al mostrarsi e al “dover essere”, i giovani sono sempre più vittime, autori e spettatori di fenomeni allarmanti e pervasivi come il cyber-bullismo.
Protagonisti del cyberspazio sono i nostri figli, i nostri nipoti, i cosiddetti nativi digitali, preadolescenti ed adolescenti che si possono trovare nella morsa di comportamenti/agiti, che veicolati tramite la rete, hanno esiti sulla salute psico-fisica per tutti gli individui coinvolti, di intensità tale al punto che il cyber-bullismo è diventano un problema di salute pubblica, sia in termini di salute fisica sia mentale.
Sicuramente molte persone conoscono meglio il bullismo (azioni violente ed intimidatorie esercitate da un bullo, o un gruppo di bulli, ai danni di una vittima; azioni che possono riguardare molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni, per lo più agite all’interno del contesto scolastico) e spesso incautamente questo fenomeno viene paragonato ed ancor più spesso minimizzato, con frasi quali: “ai miei tempi si risolveva tutto menando le mani per strada e finiva lì…..”.
Si conosce meno, invece, il cyber-bullismo, che se da un lato porta con se alcuni elementi di continuità con il succitato, dall’altro lato apre a differenze sostanziali in particolare, come già detto, per i danni subiti dalle vittime. L’idea diffusa e rischiosa è quella che questi comportamenti siano un gioco tra ragazzi, minimizzati dagli adulti.
Il cyber-bullismo per definizione è, come anticipato, la manifestazione in rete del bullismo, che quindi proprio perché agito on-line, permette di colpire la vittime pervadendo ed invadendo ogni suo spazio di vita, colpendola mentre è a casa, con gli amici, con i parenti, ecc. L’agito di persecuzione ed aggressività posto in essere è intenzionale ed ha l’obiettivo di provocare un danno ad un coetaneo incapace ed impossibilitato a difendersi.
Costituisce quindi un fenomeno sociale, che si estende proprio come una macchia d’olio (molesta, invadente e difficile a mandarsi via) a tutti i contesti di vita, superando quindi la dimensione duale, poiché veicolato attraverso l’utilizzo di mezzi informatici ed in molteplici forme/modalità (es. sms, e-mail, social network, chat-rooms, video, ecc.), che rendono la difesa della vittima impossibile ed aumentando al contempo il senso di deresponsabilizzazione dell’autore, poiché non partecipa in modo diretto alle reazioni causate nella vittima, perciò non ha la possibilità di empatizzare (mancanza del feedback emotivo), di ravvedersi o trattenersi.
Un ruolo altrettante importante è giocato dalla velocità esponenziale con il quale un’immagine, una foto, una frase, un video, possono fare il giro del mondo e possono essere esponenzialmente re-inoltrate e manipolate, in una spirale pressoché infinita.
Gli spettatori, detti anche astanti, così come gli autori e le stesse vittime, possono rivestire ruoli diversi rispetto alla vita reale, alla velocità di un “clic”. Una vittima può trasformarsi in autore e viceversa, l’autore può diventare vittima. Lo spettatore può anche senza intenzione diventare veicolo degli stessi agiti aggressivi e dannosi a scapito di altre vittime e così via. L’anonimato permette questa facile trasposizione dei ruoli, che confonde e deresponsabilizza gli autori.
Il fenomeno presenta aspetti allarmanti tra i quali un abbassamento dell’età delle persone coinvolte (sia in qualità di autore, sia di vittima), sino ad investire e coinvolgere anche bambini in età scolare (preadolescenti), generando una vera e propria vittimizzazione tra pari.
Questa vera e propria piaga sociale è in continuo cambiamento ed evoluzione, di pari passo con le sempre diverse e nuove forme di violenza tra pari che si presentano nel mondo reale ed in quello virtuale, dove la violenza assume addirittura forme di pressione psicologica e di manipolazione, portando ad agiti/eventi autolesivi e, talvolta, suicidari, nel tentativo della vittima di fuggire ad un malessere e ad un dolore che sembra essere ineliminabile e incancellabile.
Lavorare sulla prevenzione in questi casi significa interrogarsi sulla propria adultità, avere consapevolezza che si debbano implementare strategie a più livelli ed a tutto tondo, che coinvolgano l’istituzione scolastica, le famiglie, i servizi territoriali, l’associazionismo, ecc. Tutto questo ci obbliga a riflettere sulla nostra figura di adulti, di genitori, insegnanti, operatori di riferimento. Alle nostre presenze ed alle nostre assenze. A ciò che minimizziamo e a ciò che demonizziamo, perché paradossalmente entrambi gli atteggiamenti sono dannosi e contro-producenti in un’ottica preventiva e di fronteggiamento del problema.
Si pone una sfida importante rispetto al come poter gestire tali accadimenti e soprattutto al come poterli prevenire, sensibilizzando fin da piccoli i nostri figli/nipoti/cittadini/compaesani, ecc., promuovendo e socializzando le live-skills, informandosi e formandosi per evitare anche la criminalizzazione di tali comportamenti/agiti, che nascondono importanti fragilità e solitudini avvertite dai giovani, che prioritariamente andrebbero percepite, riconosciute e comprese, accompagnando poi i soggetti coinvolti in un percorso di rieducazione e riparazione del danno.
Privilegiati contesti di prevenzione ed, al contempo, motore di azione e reazione positiva e propositiva devono essere in primis le istituzioni scolastiche e le figure genitoriali, che devono responsabilizzarsi in tal senso, senza temere il ruolo di primo piano che tale sfida gli regala, mettendosi in gioco, ponendosi domande continue, avendo il coraggio di pensarsi e ripensarsi nell’approccio ai minori, nel proprio stile genitoriale.
E’ quanto mai necessario pensare che sia solo appena sufficiente un’educazione a comportamenti e relazioni positive, ma che ci si debba fare portatori di esempio di relazioni positive, di integrazione, inclusione ed attenzione verso l’altro, gli altri, i simili ed i diversi, senza mai sminuire o giustificare gli agiti dei propri/altrui figli.
Chiunque, si assuma la responsabilità di domandarsi: “Che cosa posso fare? Come si comporta mio figlio nella vita reale e nella vita virtuale? So abbastanza di mio figlio? Come mi comporto io come adulto? Che esempio sono?” e chiunque, abbia anche l’umiltà di rispondere “Non lo so, ci rifletterò, migliorerò”.
Indossiamo e non rinunciamo a cercare sempre le lenti giuste, quelle della verità, che ci permettano di riconoscere l’identità reale e virtuale dei nostri giovani, ricordando che ciascuno di noi è frutto tanto di un temperamento nostro per nascita quanto del contesto in cui cresciamo, in cui viviamo e che respiriamo; non dimentichiamolo.
Tanto possiamo fare ma occorre prima di tutto voler vedere, imparando a chiamare le cose con il proprio nome.
Alla prossima riflessione!
Elisa Bertoja